Intervista a Moira Gatta
Lingua : Italiano
Copertina flessibile : 329 pagine
Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 108,105 in Libri
n. 680 in Relazioni di coppia
n. 14,189 in Romanzi rosa (Libri)
n. 48,946 in Letteratura e narrativa (Libri)
-Buongiorno Moira. Come ti ho detto quando abbiamo parlato, spiegheresti ai nostri lettori cosa significa il tuo nome?
Buongiorno Edmea, buongiorno a tutti,
allora, il mio nome significa sorte, destino e non mi è stato dato per un
motivo particolare ma mi è stato detto dai miei genitori che appena sono nata,
stava molto bene appoggiato su di me.
-Presentati per noi.
Accidenti, sono emozionata. Ho 48 anni
ma ne sento la metà, ho 2 figli e un marito, quindi 3 persone che dipendono da
ogni mio verbo. Scherzo. Sono molto dinamica e attiva, sono molto solare, amo
la buona cucina, adoro viaggiare, mi piacciono i cruciverba e le parole
crociate, più sono difficili più mi stimolano e vado pazza per la scrittura,
senza non potrei vivere. Ho un lavoro che mi tiene occupata la maggior parte
del tempo e sono a contatto con il pubblico costantemente. Sono store manager
in un negozio di abbigliamento femminile, uno di quei negozi dove lo stile è
protagonista e bisogna prima di tutto entrare nei desideri femminili e, quando
si è bravi, anticiparli. Ecco che entra in gioco la mia predisposizione nel
capire e provare a comprendere il prossimo. Amo la psicologia, credo che sarei
potuta essere una buona psicologa ma per motivi che non sto a descrivere qui la
vita ha preso un’altra strada, tuttavia continuo a “esercitare” la mia passione
nell’osservazione attenta e l’ascolto verso tutto ciò che mi circonda e da
questo, la mia necessità di costruire dialoghi per capire chi ho davanti.
-Come
ti sei avvicinata alla scrittura?
Non amo solo ascoltare ma anche parlare
e quando le parole a volte sono costrette a rimanere tra i denti si corre il
rischio di stare male perché il nostro corpo è un buon contenitore ma quando è
troppo è troppo. Ho sempre scribacchiato qua e là, pensieri, frasi… poi un
giorno, un brutto giorno di un brutto periodo le frasi sono diventate tante,
alcune sembravano legare tra loro e soprattutto mi alleggerivano il cuore. La
scrittura mi stava aiutando a vivere.
-Credi
di essere stata destinata a scrivere?
Non saprei ma se unisco il significato
del mio nome al corso della mia vita forse, chissà. Confesso che vorrei farne
di più di un hobby ma il tempo, anche ritagliato, non basta ma continuo e
continuerò a scrivere, migliorando e impegnandomi sempre di più.
-Quando
hai scritto per la prima volta? Cosa?
Scritto qualcosa che avesse un senso,
con dei periodi, una trama e una punteggiatura orrenda? Terza elementare,
descrissi il mio fratellino più piccolo di 4 anni e nonostante gli errori avevo
fatto sorridere tutta la classe e la maestra e mi guadagnai un bel voto. Mio
fratello mi perdonò solo 20 anni dopo.
-Come
delinei il profilo dei tuoi personaggi?
I miei personaggi prendono vita dopo che
la storia mi è frullata in testa, in base a ciò che voglio raccontare, ai
luoghi e agli ambienti poi li posiziono come meravigliose pedine dorate. I miei
personaggi sono tutto, devono emergere i caratteri, i profili interiori, gli
aspetti esteriori prima, dopo e durante, me li studio e li analizzo e quando
ormai sono irrimediabilmente innamorata di loro e ho perso ogni traccia di
lucidità li mostro a occhi esterni.
-Il
personaggio più dinamico del libro.
Difficile… ve l’ho detto sono innamorata,
tuttavia Edmea mi richiama all’ordine e devo rispondere. Isabella è una donna
caparbia e determinata e come tale ha saputo capovolgere la propria vita.
-Perché
hai ambientato il libro nella Maremma Toscana?
Amo la Toscana e potrebbe bastare ma vi
spiego meglio. La natura con le sue colline mi sono apparse in testa e il
romanzo ha iniziato a prendere forma e così è stato. Ho addirittura voluto
visitare quei luoghi, la meravigliosa Pitigliano, toccare con mano le pagine
mentre venivano scritte. Sono emozionata anche in questo momento.
-Un
luogo o una persona, come possono, secondo te, influire nelle metamorfosi
personali di ognuno di noi.
Secondo me siamo facilmente
influenzabili, il genere umano in genere lo è, per quanto il più delle volte
temiamo i cambiamenti credo, anzi ne sono certa, ne abbiamo un gran bisogno. Siamo
inclini a resistere e vorremmo rimanere incollati alle nostre abitudini, se
cambiamo città, paese o addirittura lavoro, magari lo stesso del precedente ma
con persone nuove. Critichiamo i nuovi colleghi o i nuovi vicini senza
soffermarci a pensare che potremmo essere noi che stiamo provando ad abituarci
a qualcosa di nuovo e siamo spettatori o vittime di una metamorfosi. Per
rispondere meglio però, devo dire che noi, uomini o donne, siamo percorsi da
fasi, piccole ere in cui il nostro corpo, le nostre sensazioni, i nostri
bisogni, i nostri doveri addirittura cambiano e tutto diventa una catena con
ogni anello che ha bisogno di rimanere legato al precedente e al successivo.
-Una
sfida : in 3 parole, descrivi il tuo libro.
Avvolgente perché ti tiene con sé,
penetrante perché arriva in profondità, coinvolgente perché se tra una frase e
l’altra si rallenta e ci si ferma, si possono chiudere gli occhi e sentire gli
odori, i profumi e udire perfino i suoni e le voci dei protagonisti.
-Lavorando
a tempo pieno, quanto è dura la salita da scalare per scrivere? Raccontaci un
episodio in cui hai ucciso le difficoltà a riguardo!
Per uccidere le difficoltà faccio salti
mortali e inevitabilmente a volte cado e mi faccio male, scrivo la sera dopo le
21 e di notte a volte e consumo tantissimo correttore per le occhiaie, a
proposito, non funziona. A volte la difficoltà più grande è dover e voler
scrivere con il rumore intorno. Ricordo un episodio dove sono salita in auto e
me ne sono andata in un luogo poco trafficato e con il pc appoggiato al volante,
in un modo che non vi dico, sono riuscita a scrivere 2 pagine di un capitolo.
-Con
il tuo racconto, vuoi far sognare? Vuoi far sorridere? Vuoi farci librare in
una non dimensione? Vuoi allontanarci dai pensieri affannosi? Quale scopo ha il
tuo libro?
Far sognare, librare in una dimensione
su misura per ognuno di noi, vengono descritti momenti impegnativi e altri più
leggeri, momenti di serenità e di amore ovunque lo si osservi. Amo sognare e
far sognare qualcosa di reale. Sono un idealista concreta, questa frase è presa
dal mio primo romanzo, LE CICALE CANTANO IN INVERNO, direte che questi due
termini non vanno bene insieme ma per me si, io sogno e idealizzo qualcosa che
si può avverare.
-Hai
idealizzato un lettore ideale?
Scrivo romanzi rosa, forse più un genere
femminile ma ho ricevuto commenti positivi e costruttivi da tanti uomini, non
vi è nulla di scontato o banale nei miei scritti, sono argomentati da
avvenimenti spesso pesanti ma che portano a una crescita interiore, un viaggio
all’interno dei personaggi, di noi stessi.
-Quanto
è importante la lettura per te?
La lettura è tutto, è un percorso
meraviglioso ricco di avventure, leggere significa costruire uno o più mondi
paralleli e ognuno di loro sarà sempre fatto su misura per noi, ogni lettore
costruisce il proprio ma è lo scrittore che ci permette di farlo.
-Estratto
del tuo libro con foto.
Questa parte è a parer mio il centro del
romanzo, conoscenza, leggerezza e profondità al tempo stesso, ognuno sembra
deporre le armi della propria vita- anche se per pochi istanti e pare trovare
la soluzione a tutto in quei minuscoli spazi di semplicità.
IL
PUNTO DI VISTA DI LEO
Quella sera sarei dovuto andare con Alberto e
Stefano in un locale e l’unico aspetto positivo dei locali era la luce, bassa e
colorata, con tanto di quel rumore da impedire qualsiasi pensiero. La zia era
già a letto ed io solitamente uscivo tardi e dalla parte opposta all’ingresso
principale; le luci erano tutte spente e uscii quasi senza guardare... e mi
ritrovai a bloccarmi di colpo per non travolgerla. Isabella se ne stava seduta
sul gradino con le gambe allungate e il muso di Tim appoggiato sulle cosce che
si spostò d’istinto perché lei si spaventò. Tirò su le gambe rannicchiandole al
petto e avvolgendole tra le braccia mi guardò sorpresa, e forse un po’
spaventata.
«Scusa, io... non volevo spaventarti, credevo
fossero tutti a letto.»
«Scusami tu, io e Tim ci eravamo messi comodi...
un po’ troppo forse, non riuscivo a dormire e volevo prendere un po’ d’aria e
anch’io credevo di essere la sola in circolazione.»
«Buonanotte allora, ti auguro di riuscire a
dormire.»
«Buona serata, divertiti.»
Che strana sensazione. Il tono delle sue parole
sembrava malinconico e mentre mi dirigevo verso il pick-up mi ero voltato per
guardarla: era davvero una bella donna e lì, sola al buio, sembrava indifesa e
spaesata. Improvvisamente mi passò la voglia di andare in quel locale, avrei
preferito starmene la fuori con lei a chiacchierare.
Che
strana sensazione, pensai.
Solo il tempo di fare la prima curva e avevo già
chiamato Alberto per disdire la serata con una scusa niente affatto credibile,
ma anche questa volta lui aveva capito tutto. Cos’avevo fatto per meritarmi un
amico così? Sterzai e tornai indietro, stava ancora là e si copriva gli occhi
dal bagliore dei fari; vedere la sua mano anche sugli occhi di Tim mi fece
sorridere.
«Scommetto che hai dimenticato qualcosa»
commentò.
«Hai perso la scommessa, mi hanno dato buca...
posso prendere un po’ d’aria anch’io?»
«Certo, ce n’è a sufficienza per tutti.»
«È una bellissima serata.»
Avevo preso posto sullo stesso gradino e,
appoggiato alla ringhiera bassa, tenevo la gamba piegata e l’avevo di fronte,
più o meno nella stessa posizione con Tim a fare da divisoria.
«Già... Purtroppo ne ho perse molte di queste
serate, ho perso tanto di tutto questo.» La sua voce sembrava triste.
«Ora sei qui però.»
Non ero mai stato molto bravo, la comunicazione
non era mai stato il mio forte, anzi ero una frana... ma voler parlare con lei
mi sembrava così facile e per giunta molto naturale, forse per come l’avevo
trattata quando era arrivata, o forse semplicemente perché non era quella che
avevo immaginato che fosse. Quella riflessione si fece ancora più marcata.
«Sì... hai ragione, basta guardarsi indietro,
guarderò solo avanti e cercherò di dimenticare alcune cose per lasciare il
posto ad altre.»
Non faceva una piega il suo ragionamento e poteva
calzare perfettamente anche su di me anche se lei non lo sapeva.
Restammo in silenzio per qualche attimo e la pace
che mi trasmetteva – starmene lì senza fare nulla di particolare, se non
ascoltare le sue parole e la sua voce così pacata e dolce – fu qualcosa di
inaspettato.
«Credo che da lunedì avrai un’allieva, il nonno
desidera che io impari un po’ di cosette ma credo che sia stata io
indirettamente a volerlo.»
«Non capisco, cosa intendi? Lunedì? In campagna i
giorni della settimana non hanno molta importanza.»
«Vorrei imparare... o forse vorrei recuperare.
Quando ero piccola amavo seguire il nonno nei vigneti ma poi... vabbè, la
storia la conosci. Impazzivo per la raccolta delle olive e mi piacciono le
rose... adoro le rose, soprattutto quelle bianche laggiù, secondo me hanno
molti significati. È stata un’idea tua, vero? Piantarle su tutto il perimetro,
intendo.»
Sorrideva mentre ricordava, ma il suo era sorriso
amaro, colmo di rimpianti e rabbia perché le era stata strappata la felicità.
«Sì, ho fatto tutto io... sai come si chiamano?
Nevada. Significa nevosa, bianca come la neve appunto. È stata sviluppata da un
certo Pedro Dot nel 1927... sai che sono delle guardiane?»
«Guardiane? Mi pare di ricordare qualcosa ma…»
«Ti spiego, sono delle spie in un certo senso,
sentinelle contro parassiti e malattie per i vigneti... in un certo senso
catturano i nemici ostili, se le rose si ammalano significa che la vigna non è
in buona salute.»
«Non lo sapevo, oppure… lo avevo scordato.»
Abbassò il viso senza aggiungere altro.
«Ora lo sai!»
«Però in questo modo le rose si ammaleranno e non
è giusto.»
«Pare che tu non sia cambiata. Pietro raccontava
spesso della tua indole come paladina dei più deboli... ma stiamo parlando di
parassiti, Isabella.»
«Be’… sono esseri viventi anche loro, sai?»
Ci guardammo un attimo di troppo, quell’attimo in
più che ti toglie le parole e ti lascia i pensieri, poi scoppiammo entrambi a
ridere. Stavolta il suo sorriso non aveva nulla di amaro, era sereno e limpido
e la magia stava nel fatto che anche il mio lo era.
«Vedi? Ho già imparato qualcosa, e questi sono
corsi serali, sai?» Sorrise della sua battuta e ammiccando con aria saccente si
portò i capelli tutti da un lato, ed io non potei non guardarla.
«Sarà un gioco da ragazzi, ti ricorderai tutto...
e poi io sono un ottimo insegnante.»
«Lo spero tanto… sai… pensavo che, se solo le
rose sapessero catturare anche i nemici ostili di noi umani sarebbe
meraviglioso, tuttavia temo che ne esisterebbero ben poche floride e sane.»
Quelle parole m’investirono come uno tsunami. Mi
sentii coinvolto in ogni sua parola: quei fiori rappresentavano un milione di
significati per me e lei sembrava averlo capito, a ogni modo non aggiunsi
nulla, mi schiarii la voce e tentai di non darlo a vedere.
«Bene, allora non vedo l’ora di iniziare il mio
addestramento.»
«Quindi direi che domani possiamo farci un giro,
non ci sono i lavoranti e rispolveriamo ciò che ricordi.»
Sospirò.
«Se ancora il sonno non c’è possiamo fare due
passi?» proposi.
«Sì, a dire il vero era la mia intenzione
iniziale ma... temevo di imbattermi in qualche cinghiale.»
«Puoi stare tranquilla, c’è la recinzione
elettrica su tutto il perimetro... e non guardarmi in quel modo, sì, è stata
un’idea mia ma tranquilla, sono animali piuttosto intelligenti e furbi e non si
fanno male. Siamo solo io e te, e Tim ovviamente... vedrai, ci seguirà come
un’ombra.»
Cos’avevo appena fatto? Ma che cazzo... ero stato
io a parlare? Ironizzavo e scherzavo come nulla fosse, non sembravo neppure
io... forse la notte davvero disinibisce sia che si dorma oppure il contrario.
«Ok, ok, non dirò niente.»
Si mise a braccia incrociate e parve scrutarmi
con malizia.
«Questa pace, questo silenzio così pieno di tante
cose da dire... quanto mi è mancato!»
«La pace a volte è così intensa a quest’ora, in
serate come questa poi, dove non si muove nemmeno una foglia...»
Restammo zitti, avvolti dal buio e ognuno con le
proprie riflessioni.
«Se ti dà fastidio l’umidità torniamo» dissi poi.
«No, affatto... sto... sto molto bene ma…
ovviamente se non va a te torniamo.»
«Niente affatto, andiamo.»
Anch’io stavo bene e con la poca luce che l’alone
della torcia sul cellulare mi consentiva, la osservavo. Era così diversa da
come l’avevo costruita nella mia testa. Mi accorsi di come mi avesse
fortificato il bisogno di vederla come la peggiore delle persone in tutti i
racconti che Pietro mi aveva rivolto ogni sera. Davvero tutta la mia rabbia mi
aveva reso tanto ostico e distante dal bello? Davvero credere o immaginare
altre persone negative o ingrate – o peggio ancora egoiste – faceva sembrare me
normale?
E in lei di bello ce n’era tanto.
Fu Tim a scuotermi dai miei pensieri, per un
rumore improvviso di qualche animale notturno e vidi Isabella irrigidirsi.
«Leo... cosa è stato?»
«Tranquilla, sarà stata una civetta o un gufo, o
qualcosa di simile... del resto stiamo invadendo il loro tempo e il loro
spazio. Torniamo se vuoi.»
La vidi spaventata e stringersi nel suo
abbraccio. Non sapevo cosa fare, mi guardava come se volesse chiedere...
protezione, forse? Ma non lo avrebbe mai fatto, ed io di certo non lo avrei mai
permesso; non perché non volessi, nemmeno ci pensavo... oppure sì?
Ad ogni modo, non ne sarei stato capace. Mai.
La circostanza non era tanto preoccupante da
richiederne ma, quello che leggevo era altro, o almeno credevo. Isabella si era
sempre bastata da sola, aveva sempre cercato riparo in sé stessa e come stessi
giungendo a questa conclusione poteva avere un solo significato.
Io e lei eravamo molto simili.
-Lascia
un consiglio a chi ama scrivere
Fatelo con il CUORE, lui guiderà i
vostri pensieri.
-Infine,
lasciaci un saluto positivo
Quasi mi spiace che sia conclusa questa
intervista, cosa vi posso dire? Prima di tutto Grazie Edmea, ho conosciuto una
persona splendida, dolce e vera e se non è già una vittoria questa, quale?
In ognuno di noi c’è un mondo e spesso
ci si dimentica o semplicemente non lo si pensa abbastanza, facciamo tutti
della nostra vita qualcosa di speciale, qualcosa che ci rende felici, solo in
questo modo saremo capaci di lasciare qualcosa, a noi stessi prima di tutto.
Pensate solo a cosa si prova quando una piccola soddisfazione cambia il nostro
umore, la nostra giornata, ecco… pensiamo che la maggior parte delle
soddisfazioni le possiamo creare noi, farle accadere e renderci migliori.
Moira Gatta
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