Intervista a Adriano De Matteis

Titolo : L'Aquila Ferita

Editore : Independently published

Lingua : Italiano

Copertina flessibile : 362 pagine (disponibile anche in formato Kindle)

Migliore posizione ottenuta nella classifica Bestseller di Amazon:

n. 1 in Gialli e Suspense Cristiani

n. 7 in Gialli

n. 4,066  in Libri

Buongiorno lettori! Quanti di voi hanno visto al cinema o hanno giocato ad “Assassin’s Creed”? Quando ho visto la copertina di questo libro, ho subito avuto un rimando a ciò. Preparatevi a scoprire un libro pieno di sorprese!

-Buongiorno Adriano! Chi sei? Presentati per noi.

Buongiorno Mea, lavoro nel mondo delle assicurazioni, abito a Milano. Ho vissuto in Pakistan, Canada e Francia. Per lavoro viaggio molto per il mondo, in tutti i continenti, e naturalmente anche per turismo.

-Quali sono i tuoi studi?

Ho studiato matematica all’università, ma ho sempre continuato a studiare molte materie, musica, lingue, il funzionamento della mente umana.

-E le tue passioni?

Sicuramente al primo posto rimane la musica, mi piace suonare e cantare. La mia tesi di laurea l’ho scritta sulla matematica nascosta nelle composizioni di Igor Stravinsky.

-Dicci 3 cose di cui non puoi fare a meno!

Il cioccolato, la luce (me ne sono accorto vivendo a Parigi), i rapporti umani.

-Sei un appassionato di falconeria? Raccontaci di più su questo tema.

Sì, la falconeria è un’arte antica e magica. Ti mette in contatto con energie primordiali e ti fa sognare la possibilità di volare, forse il più grande desiderio dell’uomo da quando scrutava l'orizzonte infinito affacciandosi da una caverna.

-Da quanto ti cimenti nella scrittura? Come e da dove è iniziato tutto?

Difficile da dire, ho sempre scritto qualcosa, ho amici scrittori che mi hanno fatto appassionare.  Poi una carissima amica mi ha detto: “Perché non scrivi un romanzo? Secondo me verrebbe bene.”

-L’idea del tuo libro, è un’idea complessa. Da dove nasce?

Da alcune scoperte che ho fatto io stesso studiando la storia dell’Aquila. Ho voluto raccontarle in un romanzo d’avventura, con riferimenti storici, enigmi da risolvere e con i sottofondo la tragica situazione del terremoto.

-Perché hai scelto questo genere?

Non credo molto nel concetto di genere. Amazon chiede di inserirlo e così ho scelto quelli che si avvicinavano di più.

-A cosa hai pensato per il titolo?

Il titolo può essere letto in almeno due modi. La città dell’Aquila ferita dal terremoto, e un'aquila — che è un personaggio del romanzo ferita fisicamente.

-E per la copertina?

La copertina rappresenta il personaggio principale, l’aquila con cui sviluppa una forte relazione e i boschi tra i cui fitti alberi Federico inizierà la ricerca i cui ho scritto nel libro.

-Ci sono più personaggi statici o dinamici?

Il personaggio più dinamico è Federico, il libro è scritto dal suo punto di vista. Il grosso cambiamento è quello che farà lui. Il resto dei personaggi ha caratteristiche diverse e ognuno contribuisce, con le proprie capacità e inclinazioni, oppure ostacola la sua ricerca.

-Questo libro lo consigli a tutti?

Secondo me non esiste nulla che possa essere consigliato a tutti. Lo consiglio a chi ama enigmi, tesori nascosti, un ritmo veloce nella lettura — che però si ferma anche a riflettere. Soprattutto lo raccomando a chi è disposto a considerare l’ipotesi che la storia come la conosciamo potrebbe essere incompleta. Io fornisco qualche elemento per integrarla.

-Devi ringraziare qualcuno per la sua stesura, o solo la tua tenacia e passione?

Devo ringraziare molte persone, moltissime. Sia chi mi ha dato lo stimolo, sia chi ha creduto in me senza nemmeno sapere se sapessi scrivere, gli amici che lo hanno letto preliminarmente e mi hanno dato i loro feedback, le persone che hanno scritto le recensioni. Voglio ringraziare in particolare chi mi legge, i lettori sono per me l’unica vera ragione per cui scrivo.

-Estratto del libro con foto

 

Dal capitolo 2: UN MONDO DI COLORI

 

Manfredi intanto stava continuando a colorare il disegno: “Papà mi passeresti il colore delle penne dell’aquila reale?”

Disse ‘reale’ con enfasi, gonfiando il petto e mimando un volo ad ali spiegate. “Eccolo.”

Manfredi aveva disegnato le montagne, uno stivale pieno di monete d’oro, e un’aquila in volo. Prese ancora il pastello azzurro dalla scatola e colorò un altro pezzo di cielo:

“Papà, quando mi porti in Abruzzo?”

“Un giorno ti ci porterò.”

“Lo dici sempre ma poi non ci andiamo mai.”

 

Federico sperava di rimandare quella spiegazione a quando Manfredi sarebbe stato abbastanza grande per capire, o forse era lui a dover crescere e trovare il coraggio per riuscire a dirgli onestamente la vera ragione.

Guardò Giorgio che lo stava fissando come se avesse potuto leggergli nel pensiero.

“Guarda papà che poi il tesoro lo trova qualcun altro. Lo sai papi, che la maestra ci ha detto che si sono ancora tanti tesori che sono rimasti nascosti e ogni tanto qualcuno li trova? Io vorrei che il tesoro dei briganti lo trovassimo noi.”

Federico gli accarezzò la testa, scompigliandogli i capelli. Gli piaceva tornare bambino con lui e non vergognarsi di sognare ad occhi aperti. Per Federico queste storie erano un modo per fantasticare su un mondo che non c’era più: briganti feroci, forzieri d’oro, grotte inaccessibili.

“E invece a vedere i falchi ci torniamo?”

Giorgio si sorprese: “I falchi?”

Federico chiarì a cosa si facesse riferimento: “Sì, è da otto anni che andiamo a osservare la nidificazione urbana dei falchi. A Bologna una coppia di falchi pellegrini ha fatto il nido al tredicesimo piano di una delle torri Kenzō del distretto della Fiera.”

“E come ci arrivate lassù?”

“Li osserviamo col binocolo”, rispose Manfredi.

Federico completò: “L’anno scorso, sempre a Bologna, abbiamo visitato anche la Basilica di San Petronio, dove avevano nidificato due falchi pellegrini.”

Giorgio scosse la testa: “Chissà se verranno mai anche a Milano.”

 

Per lui era il centro del mondo. Le cose rilevanti accadevano a Milano e se non succedevano lì non erano rilevanti. Avrebbe dovuto aspettare altri nove anni prima che la ristrutturazione del Pirellone svelasse, in vetta al grattacielo, un nido di una coppia di falchi pellegrini, Giulia e Giò.

 

Manfredi chiese un altro colore: “Papà mi piace molto anche l’erba della collina. Mi passeresti il verde, per favore?”

Mentre stava scrivendo il messaggio di risposta a Stefania, Federico gli passò il pastello. Manfredi colorò l’erba e gli mostrò il disegno: “Papi, guarda: come sta venendo?”

 

Federico prese il foglio e lo scorse con gli occhi. Il cielo era azzurro, senza una nuvola, con un sole splendente. Sulla collina uno stivale colmo di monete d’oro. Quando abbassò lo sguardo spalancò gli occhi; e quando vide l’erba gli cadde la mascella. Il disegno non aveva senso, sembrava che lo stivale stesse versando sangue su tutta la collina: “Manfredi, con che pastello hai colorato l’erba?”

“Con quello verde papà. L’erba è verde, che domande mi fai?”

 

Federico si rese conto di avergli passato per errore, distratto dal cellulare, il pastello rosso e che Manfredi l’aveva usato credendo che fosse verde. Guardò il figlio e trattenne il fiato. Ripassò mentalmente come, in effetti, Manfredi aveva preso dalla scatola solo l’azzurro. E dopo averlo già usato. Gli altri colori li aveva sempre chiesti a lui. Poi aveva socchiuso le tende per far entrare meno luce. Mise alla prova il proprio sospetto: “E di che colore facciamo la macchina?”

“Gialla, ovviamente. Come il taxi di New York.”

Federico gli passò volutamente il verde e Manfredi, senza esitazione, lo usò per colorare la macchina. La conferma che stava cercando lo fece trasalire, scattò in piedi spostando con lo slancio la sedia dietro di sé e si portò la mano alla bocca mentre con l’altra si appoggiò al bordo del tavolo.

“Che c’è papà?”

Federico si sgranchì la schiena: “Facciamo un gioco?”

 

Non voleva crederci e così volle fare un’ultima prova. Vide sul pavimento la palla da rugby, la raccolse e sorridendo la lanciò a Manfredi senza preavviso: “Vai!”

L’avrebbe presa al volo facilmente? Come quando giocavano nel giardino della casa dove abitavano insieme, quando era ancora sposato con Stefania?

 

Dal Capitolo 28: VOLA, VOLA, VOLA

Federico uscì, restando dietro l’angolo della casa, Eleonora lasciò Maya libera di volare, Federico l’ammirò mentre si fece sollevare da una corrente ascensionale superando la collina. Si spostò, mettendosi bene in vista al centro del cortile. Modulò il suono caratteristico dei cantanti della Mongolia, che aveva continuato a praticare ogni volta che era da solo in macchina. Appoggiò un brandello di carne sul guantone e l’aquila lo vide da lontano. Scese quasi in picchiata con una traiettoria ad arco, sempre guardando la carne, e una volta che fu a pochi metri ruotò le ali, quasi ad abbracciare l’aria imprigionandola, per frenare e artigliare il guantone. Federico chiuse gli occhi e arretrò di un passo per sostenerne l’impatto. Maya si rinchiuse nel suo mantello di piume e con il becco dilaniò il pasto.

Federico la guardò con attenzione mentre mangiava e si rese conto di averla riconosciuta. Anche se le aquile sembrano tutte uguali, standoci vicino si notano i piccoli particolari, le minime differenze che le rendono uniche. La curva dell’occhio, il disegno delle sfumature dei colori delle penne, le piccole piumette attorno al becco, quasi dei baffi. Gli sembrò strano notare come anche gli animali invecchino e,  pur capendo che sono ancora gli stessi, vediamo anche su di loro i percorsi della vecchiaia che negli esseri umani scavano rughe e colorano di bianco.

Maya si muoveva goffamente sul guantone per mantenere l’equilibrio. La guardò negli occhi. Anche lei sembrò riconoscerlo. Le stesse due facce di trent’anni prima. Come lui, Vincenzo e tutti gli altri. Le stesse facce che portavano i segni del tempo che aveva distorto i loro profili infantili, come se fossero stati immersi in un campo di forze che li tiravano in direzioni imprevedibili. Aveva ormai circa trent’anni. Anche se in cattività le aquile possono avere una vita più lunga, non sarebbe vissuta ancora molto. Federico notò intanto il gallo, che quando era arrivato aveva visto pavoneggiarsi con le galline nel cortile davanti alla casa, allontanarsi per mantenere una certa distanza di sicurezza. Gli sembrò di essere lui, sapendo che Balthazar poteva essere nelle vicinanze. Il pensiero lo immobilizzava, lo paralizzava, lo rendeva rigido come un ceppo da camino.

Guardò Maya ma parlò a Eleonora:

“Dici che è contenta di vedermi?”

“Le aquile sono molto indipendenti e se provano un affetto non lo dimostrano certo come lo farebbe un cane.”

“E come lo dimostrano?”

“Atterrandoti sul braccio.”



-Lasciaci un saluto ed un consiglio ad aspiranti scrittori!

Saluto tutti i tuoi lettori e te che mi hai dato questa bella opportunità. Il mio consiglio: scrivete. Scrivete quello che vi piace nel modo in cui vi piace. Poi cercate l’opinione dei lettori. Leggete i libri che vi comunicano qualcosa. Scrivete ancora. E continuate a migliorare.


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