Intervista a Dario Mondini

Editore : Europa Edizioni 

Lingua : Italiano

Copertina flessibile : 203 pagine

Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 86,306 in Libri

n. 551 in Narrativa biografica

n. 5,069 in Biografie e autobiografie (Libri)

n. 8,730 in Narrativa contemporanea (Libri)

Buongiorno amici lettori, oggi conosciamo un pò meglio il mio amico Dario. 

-Buongiorno Dario, presentati per chi ci legge.

Ciao Edmea, ciao a tutti. Sono un semplice impiegato e appassionato di sport (seguo il calcio e pratico tennis tavolo a livello agonistico) che, alla soglia dei suoi primi quarant’anni, ha deciso di ripercorrere le orme di Marina Ripa di Meana, scrivendo un’autobiografia. Non pago di aver disturbato circa 500 lettori, a distanza di tre anni, assieme ad Intrecci Edizioni ho pubblicato il sequel. Mi piace viaggiare, stare in compagnia e far casino, cercando d’ingannare gli anni che passano, inesorabili. 


-Per citare il Torino Film Fest: “Chi non rischia non beve champagne”. Che ne pensi di questa frase? Rientri nella categoria di chi rischia o di chi è prudente? 

Rischio, rischio troppo, buttandomi in relazioni che viste da fuori apparirebbero subito come sbagliate, rischio a praticare molto sport nonostante le conseguenze di un grave incidente in moto di cui sono stato vittima dieci anni fa, rischio ben dieci euro al mese comprando i “Turisti per Sempre”. In fondo seguo solamente il detto che mi aveva indicato sapientemente la mia adorata nonna Adele: “chi non risica non rosica”, ovvero chi non rischia non ottiene nulla. 


-Vivi dove hai sempre immaginato di vivere?

Da cinque anni mi sono trasferito a Mediglia, a soli cinque km dalla Peschiera Borromeo che fin da bambino è stata quella che tuttora considero come “la mia città”. Probabilmente ci sono luoghi più belli rispetto al Sud Est di Milano, però qui ho conosciuto i miei amici, con loro ho condiviso esperienze indimenticabili; farei davvero fatica a staccarmi dal mio habitat naturale. Sono comunque legato ad altri luoghi considerati alla stregua di una seconda casa, come Monaco di Baviera, Pisa e la Val Taleggio, in provincia di Bergamo. 


-Quando hai iniziato a scrivere? 

…Ho iniziato a scrivere a otto anni, con la storica Olivetti che mia mamma utilizzava nella sua veste di dattilografa. Ero solito stilare la cronaca e redigere le pagelle delle partite della mia squadra di pallone, la gloriosa Us Peschiera Borromeo: da allora non ho più smesso. Che abbia fatto bene o meno a continuare, ai presenti e ai posteri “l’ardua sentenza”. 


-Preferisci la scrittura digitale o rimani fedele al taccuino, diario, foglio e penna?

Alle superiori ero solito scrivere il diario a penna, in particolar modo per raccontare il mio vissuto, le disavventure in campo sentimentale e qualche impresa sui campi da calcio. Ora mi sono convertito al digitale, però mi piace molto scrivere le dediche dei miei libri, ovviamente a penna: ha un suo fascino e consente, a mio modesto avviso, di avvicinare il lettore all’autore.


-Quale libro per te è stato fondamentale.

Il primo letto in assoluto, Padre padrone di Gavino Ledda, divorato tutto d’un fiato nonostante avessi solo nove anni: ho superato un’autentica prova del fuoco vista la crudezza dei temi trattati. Da allora non ho più smesso di leggere e lo ritengo un grande privilegio. 


-Perché hai deciso di scrivere dei libri?

Per far conoscere il mio mondo, l’esistenza di un ragazzo (a quarantatré anni non riesco ancora a definirmi uomo, fai tu..) che, nonostante i tanti fallimenti, ha tanta voglia di vivere e di condividere i successi con le persone alle quali vuole bene, la famiglia e gli amici di sempre in primis.  


-Diario di un perdente di successo è un’autobiografia. Perché hai deciso di scrivere di te?

E’ accaduto per caso, nell’episodio descritto nel prologo del primo Diario: mentre correvo sotto la pioggia, al termine di una serata infausta, come un flashback mi sono venuti in mente i passi significativi dei miei primi quarant’anni. Una volta rincasato, ho sentito l’esigenza di mettere tutto nero su bianco, e da lì sono andato avanti, per i successivi cinque mesi. Il prodotto finale è piaciuto ai miei beta readers, così ho deciso di crederci, fino in fondo. Scrivere un’autobiografia è un po’ come andare dallo psicologo, oppure dal prete per confessarsi: una volta ultimata l’opera ci si sente più leggeri, o almeno questa è la mia personale esperienza. 


-Da chi o cosa sei stato ispirato?

In realtà da nessuno, non perché voglia peccare di presunzione, ma perché non avevo mai letto un’autobiografia in precedenza e scrivere un libro era l’ultimo dei miei pensieri. Come accennato in precedenza, sono stato fulminato nel contesto di una giornata particolare, un po’ come successo al futuro apostolo Paolo, sulla via di Damasco. 


-Tanti amici, o pochi ma buoni?

Possibilmente tanti e buoni, come nel mio caso, ed è anche per garantire a tutti loro un piccolo posto al sole che ho deciso di pubblicare. In un mondo fatto di ipocrisia e false amicizie, è un privilegio aver potuto festeggiare con molti sodali le “nozze d’argento” della nostra amicizia. In generale, l’importante è che siano buoni, se poi sono tanti meglio ancora. 


-Perché hai deciso di inserire la parola perdente nel titolo del tuo libro, e di riproporla anche nel secondo? “Che risulta sconfitto”, “perdente” è l’accezione che gli attribuisci o c’è di più dietro?

Mi ritengo un perdente perché non ho realizzato nessuno degli obiettivi che mi ero prefissato, in campo lavorativo, ludico e sentimentale. Si possono però perdere tante guerre, l’importante è vincere la battaglia finale, e io m’impegnerò sempre per piazzare la stoccata decisiva. C’è comunque di più dietro, e sei stata bravissima a coglierne l’essenza: starà ai nuovi lettori, eventualmente, cercare di emularti. 


-Sembra che il tuo libro abbia creato una sorta di comunicazione molto vicina fra te ed il tuo pubblico. Era questo quello che volevi? Sei consapevole del fatto che i tuoi lettori ti amano?

Le tue parole un pochino mi commuovono, perché l’affetto del quale mi hanno circondato alcuni lettori mi ha stupido, in positivo. Ho cercato di raccontare me stesso e le persone che mi circondano per quello che effettivamente siamo, senza maschere. Forse i lettori hanno trovato in noi dei personaggi autentici, e non posso che ringraziarli per la vicinanza. 


-Il messaggio più strano che hai ricevuto riguardo al tuo libro. 

Elisa, la mia ex storica: “Cavoli Dario, ma lo sai che scrivi bene?”

Risposta: “Grazie Elisa, però speravo che in cinque anni di relazione tu l’avessi già scoperto!”. 


-Estratto del libro con foto.

“Cinquecento metri, un chilometro, non so bene quanto stia percorrendo, le macchine mi passano di fianco lavandomi a ogni pozzanghera. Ho paura ma non sento la fatica, ho quasi quarant’anni e un’anca ricostruita tramite osteosintesi a seguito dello schianto del 2011. Mi merito una serataccia così, un segno del destino, basta cercare avventure che svuotano l’anima e prosciugano il portafogli”.  


-Lasciaci un saluto da loser di successo!

“Ehi ragazzi, sono tutto rotto e scassato, con Giulio Maiocchi ho già perso due volte, ma domenica lo farò nero! E poi offrirò a tutti voi un bell’aperitivo, come ai vecchi tempi”. 




Commenti

Post più popolari

Intervista a Edoardo Francesco Taurino

Intervista a Marco Dell'Amura

Intervista ad Emiliano Forino Procacci